Produzione in Italia: quali sono le criticità

 

L’incremento di valore post-COVID nella produzione italiana di beni e servizi è stato consistente (+5,6%) ma non sufficiente a recuperare la perdita subita tra il 2019 e il 2020 (-9%), lasciando un gap del -3,8%. La sovrapposizione degli scontri in Ucraina alla situazione pandemica ha aumentato le incertezze sui mercati, si stima una crescita del PIL 2022 sotto il 2% (e non oltre il 4% come da previsioni) con il rischio che nel 2023 diminuisca ulteriormente. La produzione industriale in calo dello 0,9%, le situazioni di colli di bottiglia nelle catene di fornitura e l’aumento generale dei prezzi stanno causando enormi danni all’economia del nostro paese, ma andiamo ad analizzare più nel dettaglio le 4 cause principali del repentino rallentamento:


1. Le materie prime:

  • Il sostanziale rallentamento nelle attività è dovuto nel 33% dei casi alla scarsità di materie prime soprattutto quelle provenienti da paesi protagonisti del conflitto attualmente in corso. Tra le materie prime di cui soffriamo maggiormente la carenza troviamo: carbone, nickel, platino, semilavorati in ferro e acciaio, semiconduttori per chip dell’elettronica e automotive, grano e mais. Questi sono tutti input che generano non solo rallentamenti in specifici settori, ma essendo alla base di molte catene di produzioni globali rischiano di causare ritardi nelle attività di tutto il mondo.
  • Grande difficoltà a trasferire le pressioni sul costo delle materie prime (+63%) sui prezzi di vendita (+16%).

2. L’insostenibilità dei prezzi delle bollette per l’industria stimati per il 2022:

  • Il costo dell’energia rischia di segnare un + 375% rispetto al 2019 e, se così fosse, nelle le imprese italiane il peso dell’energia sul costo di produzione totale sfiorerebbe in media l’8,5%. I settori in cui l’incidenza dei costi energetici è più alta sono sicuramente quello metallurgico (23%), minerario (16%), delle lavorazioni del legno (10%), gomma-plastica (9%) e produzione della carta (8%).
  • Il costo del gas è stimato stabilizzarsi a + 584% rispetto al 2019, un aumento esponenziale dovuto alla consistente dipendenza italiana (38%) dal gas russo.

3. Il tasso di occupazione (rapporto tra occupati e popolazione 15-64 anni) si è mantenuto su livelli elevati del 58,1%, ma l’input di lavoro che ha raggiunto i minimi storici e il tasso di disoccupazione giovanile al 28% delineano oltremodo la piaga che tutt’ora caratterizza fortemente il nostro paese.

4. Un disallineamento delle competenze (di base, hard e soft) delle risorse umane che sfavorisce le nuove generazioni, le quali ricevono un’istruzione scolastica obsoleta per il mercato del lavoro attuale. Infatti, si stima che entro la fine del 2022 il 27% delle posizioni lavorative disponibili sarà destinato a ruoli che al momento non esistono. I cambiamenti frenetici che la digitalizzazione sta portando all’interno della società dovrebbero stimolare governi, scuole e università ad aggiornare i propri programmi formativi riducendo al minimo lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze. Il disallineamento delle competenze, o skill mismatch, è un problema che se viene trattato dal proprio paese con i giusti tempi e strumenti porta benefici in termini di PIL, altrimenti rimane un semplice costo. Il Boston Consulting ha stimato nel 2020 a livello globale un costo per il disallineamento delle competenze pari al 10% del PIL, valore che potrebbe raggiungere l’11% nel 2025 se gli enti formativi non si decideranno a rinnovare gli ormai superati programmi da offrire alle future generazioni di lavoratori.

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