Trasformazione digitale nella piccola e media impresa italiana: titolari pronti a crederci. Ma 7 su 10 hanno paura della mancanza di un reale ritorno sull’investimento.

 

La Lombardia si posiziona come la regione con il tasso di digitalizzazione più elevato, mentre la Calabria risulta essere all’ultimo posto.

 

Milano, 29 novembre 2023Imprese italiane sempre più consapevoli della necessità di abbracciare la trasformazione digitale. Lo slancio positivo è però minato dalla mancanza di competenze reali e da una forte resistenza al cambiamento da parte degli organici. Questo è quanto emerge dall’ultima ricerca condotta da I-AER, Institute of Applied Economic Research in collaborazione con AIDA Partners PR e ISVI, Istituto per i Valori d’Impresa.

Più in dettaglio: da un campione di oltre 500 aziende italiane di piccole e medie dimensioni emerge un chiaro orientamento ad avvicinarsi a pratiche di trasformazione digitale, tanto che il 58% degli intervistati dichiara di aver intrapreso delle riflessioni per effettuare un importante upgrade in chiave digitale entro il 2024.

“Questo scenario di forte interesse verso la trasformazione digitale professato dai titolari d’azienda non ci deve trarre in inganno – esordisce Fabio Papa, docente di economia e fondatore di I-AER. Infatti, abbiamo una situazione a macchia di leopardo, con la Lombardia che si posiziona come la regione con il tasso di digitalizzazione più elevato, mentre la Calabria risulta essere all’ultimo posto”.

Più in dettaglio, secondo i ricercatori di I-AER, tra le undici regioni con una performance superiore alla media nazionale, otto sono situate nel nord (Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Liguria, Piemonte, e le province autonome di Trento e Bolzano), mentre le restanti tre si trovano nel centro (Lazio, Toscana e Umbria). Le regioni al di sotto della media includono tutte le altre, con particolare rilievo per le aree del Mezzogiorno, evidenziando la persistenza di un divario regionale importante.

In termini assoluti, gli ambiti con i maggiori investimenti in trasformazione digitale sono quello bancario seguito dal manifatturiero. In particolare, nel settore bancario, c'è una spiccata attenzione alla "data virtualization", che ha lo scopo di gestire dati provenienti da diverse fonti in modo unificato e virtuale. Nel settore manifatturiero si sta invece dando priorità all'analisi avanzata dei dati, anche grazie all’intelligenza artificiale, per migliorare l'intero processo produttivo, compresa la gestione della catena di approvvigionamento. Ad esempio, si cerca di combinare dati sulla domanda di mercato con dati specifici provenienti dai vari processi, dalla produzione alla logistica, per sviluppare le strategie più adeguate.

“Nel contesto fin qui descritto – spiegano i ricercatori - dobbiamo però ricordare che l’Italia presenta tra i più bassi tassi di digital skills in Europa. Tale dato è il vero nodo da cui partire se si vuole intraprendere una discussione costruttiva sulla trasformazione digitale nel mondo imprenditoriale. Se a ciò si aggiunge che il Bel Paese, dopo la Germania, possiede la più importante base manifatturiera europea, capiamo come il tema della trasformazione digitale sia di straordinaria rilevanza per la competitività di un intero sistema socio-economico. Da qui la necessità di ribadire, una volta di più, che il vero game-changer è rappresentato dalla diffusione di competenze necessarie affinché questa stessa trasformazione possa avere luogo. Senza tale presupposto, ogni investimento effettuato avrà impatti bassi se non addirittura nulli”.

Questo elemento, come emerge dalla ricerca, diventa particolarmente rilevante quando si considerano i numerosi vantaggi derivanti dalla trasformazione digitale come, ad esempio, la capacità di sviluppare processi operativi più efficienti, il miglioramento della comunicazione interna o, ancora, l’opportunità di favorire una collaborazione più efficace e sana tra i diversi reparti. Pertanto, il miglioramento delle competenze digitali rappresenta il presupposto fondamentale per massimizzare i benefici della trasformazione digitale con incrementi dei ricavi, anno su anno, che possono arrivare fino all'11% anche nei settori c.d. maturi come il fashion, l’arredo-design e l’agroalimentare. In linea generale, la ricerca condotta da I-AER stima un ROI (nel triennio) che si attesta intorno al 15% per le PMI che decidono di investire nelle tecnologie digitali.

I dati che emergono dal campione analizzato mostrano un forte timore da parte degli stessi titolari d’impresa ad investire in nuove tecnologie digitali, soprattutto a causa di un ritorno dell’investimento che non si riesce a stimare con precisione. A conferma di ciò, ben 7 imprenditori su 10 ritengono pressoché impossibile avere un riscontro concretamente misurabile, nell’arco di 12 mesi, a seguito dell’investimento effettuato in pratiche di digital transformation.

Pertanto, sebbene l’interesse delle stesse aziende rimanga teoricamente alto, è facilmente intuibile come la ritrosia dei vertici aziendali sia un fattore che non abilita di certo il sistema a modernizzarsi in tempi utili, soprattutto quando confrontato con il resto della concorrenza europea.

“Chi frequenta le piccole e medie imprese italiane – insiste il Prof. Papa - non dovrebbe stupirsi rispetto all’ambivalenza dei risultati che emergono dalla ricerca. Nei fatti, i titolari d’azienda sono abituati ad una velocità d’azione sconosciuta ai più che, nel caso in analisi, mal si sposa con i tempi (tipicamente lunghi) connessi ad un processo di trasformazione digitale.

I ricercatori hanno evidenziato che la trasformazione digitale nelle PMI italiane viene frenata anche da un ulteriore fattore: la resistenza al cambiamento da parte dei collaboratori. Infatti, 6 imprenditori su 10 dichiarano di assistere ad importanti ritrosie da parte dell’organizzazione quando si tratta di modificare le modalità lavorative soprattutto quando si introducono nuove metodologie legate a pratiche di trasformazione digitale che impattano sulla routine quotidiana.

“La tendenza di ogni essere umano a conservare intatta la propria posizione è del tutto fisiologica. ll vero interrogativo è come affrontarla consapevolmente e, sotto questo punto di vista - afferma Papa – credo che l’elemento da cui partire sia quello di educare sia i titolari d’azienda che i loro collaboratori ad affrontare in modo diverso il cambiamento, anche organizzativo. Infatti, se da un lato i datori di lavoro devono comprendere che non è possibile avere dei ritorni immediati, dall’altra parte ciascun collaboratore deve capire che senza trasformazione digitale il loro operato diventerà sempre meno competitivo e quindi fuori mercato”. In conclusione, si tratta più di un tema umano che tecnologico. Perché cambiare fa paura a tutti. Siamo quindi pronti ad abbracciare una ri-evoluzione culturale?

 

*I-AER, in qualità di centro di ricerca dedicato alle PMI, è costantemente focalizzato sullo studio del sistema economico. Monitora, su base mensile, l’andamento di un paniere di oltre 400 piccole e medie imprese italiane distribuite sul territorio nazionale, con una concentrazione maggiore in Lombardia, Marche e Toscana. Analizza aziende, spesso a conduzione familiare, operanti all’interno della produzione, del commercio e nel mondo dei servizi.

I risultati dello I-AER Index vengono diffusi su base trimestrale all’interno della community imprenditoriale dell’Istituto. Ciò permette alle aziende parte del Network di meglio indirizzare le politiche di sviluppo strategico nel medio-lungo periodo e di pianificare agilmente anche le azioni da intraprendere quotidianamente. I-AER Index si dimostra così un vademecum di dati e informazioni indispensabile per imprenditori, manager e professionisti della Piccola e Media Impresa Italiana. 

 

Domenico Ciancio
Corporate Communication & Public Affairs Manager Consultant
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