Referendum 2025: gli imprenditori bocciano il referendum


Circa il 39% degli intervistati ha attivamente ricercato lavoratori stranieri negli ultimi anni per far fronte a carenze di organico. Il settore dei servizi e il manifatturiero mostrano una dipendenza strutturale dalla manodopera straniera

Milano, 29 maggio 2025I-AER, Institute of Applied Economic Research, ha condotto un’indagine rivolta ai soli imprenditori, con l’obiettivo di raccogliere opinioni, aspettative e preoccupazioni delle piccole e medie imprese italiane su tre temi centrali: il possibile ritorno del reintegro nei licenziamenti illegittimi, la proposta di eliminare il tetto agli indennizzi per le microimprese e la riduzione dei tempi per l’ottenimento della cittadinanza da parte dei lavoratori stranieri manca poco al referendum dell’8 e 9 giugno 2025.

L’indagine ha coinvolto un campione rappresentativo di 658 imprenditori distribuiti su tutto il territorio nazionale. La partecipazione è risultata fortemente concentrata nel Nord Italia, da cui proviene l’80% delle risposte, mentre il 14% arriva dal Sud e Isole e il restante 6% dal Centro. A livello settoriale: il 62% degli intervistati opera nell’industria e manifattura, seguito da imprese attive nel commercio, turismo e ristorazione (13%), tecnologie digitali (13%), servizi professionali (6%) e sanità e istruzione (6%).

 

Licenziamenti illegittimi e reintegro: flessibilità o giustizia?

Secondo il sondaggio condotto da I-AER, l’81% degli imprenditori ha riscontrato benefici dalla formula attualmente in vigore: il 56% la considera più adatta alle esigenze aziendali grazie alla maggiore flessibilità nella gestione del personale, mentre un ulteriore 25% ne apprezza i vantaggi in termini di riduzione dei costi legali e dei rischi connessi al contenzioso. Solo il 19% non ha notato effetti significativi.

Fabio Papa, professore di economia e direttore scientifico di I-AER, osserva: “I dati mostrano chiaramente che, per molte imprese, la possibilità di evitare il reintegro è associata a un’esigenza concreta di flessibilità gestionale. In un contesto economico instabile, poter intervenire in modo proporzionato e prevedibile sulla gestione delle risorse viene considerato fondamentale per garantire efficienza e continuità operativa.”

Le opinioni raccolte nell’indagine confermano infatti le preoccupazioni rispetto a un possibile irrigidimento delle regole: 

  • il 69% degli imprenditori teme maggiori difficoltà nella gestione di personale non performante;
  • il 62% prevede un calo delle assunzioni a tempo indeterminato.

Solo una minoranza (13%) ritiene che un’eventuale riforma in senso più vincolante non avrebbe impatti significativi sull’organizzazione aziendale.

Indennizzi nelle microimprese: equilibrio precario

Il secondo quesito referendario propone di eliminare il tetto massimo di 6 mensilità oggi previsto per l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo nelle imprese con meno di 16 dipendenti. Questo limite, attualmente fissato dalla legge, ha l’obiettivo di offrire un punto di equilibrio tra la tutela del lavoratore e la sostenibilità economica delle microimprese.

Secondo il sondaggio I-AER, il 63% degli imprenditori considera il tetto attuale adeguato, mentre solo il 6% lo ritiene troppo basso e quindi penalizzante per i lavoratori. Un ulteriore 31% giudica invece la soglia già troppo alta, segnalando maggiore attenzione verso l’impatto economico delle controversie legali.

“Un’indennità massima predefinita – spiega Papa – dà un riferimento chiaro per pianificare e allocare risorse. Le PMI, in particolare le microimprese, spesso non hanno strumenti e risorse finanziarie pari alle grandi aziende. La soglia non è una scorciatoia: è una misura di sostenibilità minima.”

Infatti, secondo i dati, già oggi il 15% delle microimprese coinvolte in contenziosi registra un peggioramento della propria liquidità, mentre il 3% si trova costretto a ridimensionare o sospendere l’attività. In questo scenario, la possibilità di abolire il limite massimo di 6 mensilità viene percepita come un fattore di rischio:

  • il 57% degli intervistati prevede un aumento del rischio economico legato ai contenziosi
  • il 56% segnala che ciò potrebbe ridurre la propensione ad assumere personale a tempo indeterminato.

Solo una minoranza (12%) ritiene che l’abolizione del limite non comporterebbe cambiamenti significativi nella gestione aziendale, mentre un altro 7% intravede nella proposta un possibile rafforzamento della tutela per i lavoratori.

Papa aggiunge: “L’assenza di un tetto massimo lascia al giudice un margine decisionale molto ampio, aumentando l’incertezza sull’esito dei contenziosi. Per molte imprese, questo rende difficile pianificare e valutare i rischi. In un mercato già instabile, l’imprevedibilità delle sentenze può tradursi in fragilità economica.”

 

Cittadinanza e integrazione: un’opportunità sottovalutata

Il terzo quesito referendario propone di ridurre da dieci a cinque anni il periodo minimo di residenza legale necessario per richiedere la cittadinanza italiana da parte dei lavoratori stranieri maggiorenni stabilmente residenti nel Paese, senza modificare gli altri requisiti previsti dalla legge, come la conoscenza della lingua italiana, il possesso di un reddito adeguato e l’assenza di condanne penali.

Secondo i dati, circa il 20% delle aziende dichiara di impiegare attualmente personale straniero privo di cittadinanza italiana, ma una percentuale ben più ampia – circa il 39% – ha attivamente ricercato lavoratori stranieri negli ultimi anni per far fronte a carenze di organico.

A livello settoriale, la presenza di lavoratori stranieri è particolarmente significativa: nei servizi raggiunge il 30%, seguita dal manifatturiero (22%), dall’agricoltura (18%), dalla ristorazione e turismo (17%) e dalle costruzioni (16%). In particolare, il settore dei servizi e il manifatturiero mostrano una dipendenza

strutturale dalla manodopera straniera, spesso impiegata in ruoli ad alta rotazione e con maggiore difficoltà di sostituzione.

Ad oggi, la carenza di manodopera rappresenta una sfida strutturale crescente per le piccole e medie imprese italiane, che da sole generano circa il 76% dell’occupazione complessiva del Paese. Secondo i dati, nel 2023 le PMI hanno riscontrato difficoltà nel reperire il 48% delle figure professionali richieste, una quota che sale al 55% tra le imprese artigiane. L’impatto economico di questa criticità è rilevante: si stima un danno annuo pari a 13 miliardi di euro di valore aggiunto non generato, dovuto all’allungamento dei tempi di ricerca del personale e all’impossibilità di coprire posizioni strategiche.

Nonostante ciò, il 53% delle imprese non prevede impatti significativi in caso di un’eventuale modifica normativa sulla cittadinanza, mentre il 47% crede che la riforma potrebbe rappresentare un’opportunità concreta in termini di maggiore stabilità e fidelizzazione del personale.

“Nelle piccole e medie imprese – continua Papa – la continuità del personale straniero è anche legata a vincoli amministrativi. Snellire l’iter per la cittadinanza, con regole chiare, può ridurre il turnover e migliorare la gestione del personale. In Italia ci sono oltre 1,6 milioni di lavoratori stranieri: una semplificazione ben calibrata potrebbe avere effetti concreti sulla stabilità operativa di molte PMI, soprattutto nei settori più esposti alla carenza di manodopera.”

 

Conclusione

L’indagine di I-AER restituisce il profilo di un’imprenditoria pragmatica, attenta alla sostenibilità economica e alla chiarezza normativa. Tre aspetti emergono con forza dalle opinioni raccolte

  1. Flessibilità nella gestione del personale: resta una priorità per le PMI, che considerano l’attuale modello basato sull’indennizzo preferibile rispetto al reintegro obbligatorio, sia per ragioni di efficienza sia per contenere i rischi legali.
  2. Tetto agli indennizzi nelle microimprese: la proposta di eliminarlo solleva timori concreti legati alla fragilità finanziaria di molte realtà di piccole dimensioni. L’aumento dell’incertezza e del contenzioso viene percepito come un disincentivo all’occupazione stabile. 
  3. Cittadinanza e lavoratori stranieri: pur considerato marginale da più della metà degli imprenditori, il tema può rappresentare un’opportunità strategica nei settori con alta incidenza di lavoratori stranieri, favorendo stabilità e fidelizzazione attraverso iter più snelli e accessibili.

Le PMI – conclude Papa – non si oppongono al cambiamento, ma chiedono che ogni intervento normativo sia compatibile con le loro risorse e tempi decisionali. Le proposte che aumentano rigidità o incertezza, come il reintegro obbligatorio o l’eliminazione dei tetti agli indennizzi, generano perplessità. Al contrario, misure come la semplificazione dell’accesso alla cittadinanza possono rappresentare leve strategiche, soprattutto se orientate a rispondere a bisogni concreti del mercato del lavoro.”

 

Domenico Ciancio
Corporate Communication & Public Affairs Manager Consultant
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