PMI e formazione, il motore di competitività e innovazione

 

La formazione rappresenta un pilastro fondamentale per la competitività delle PMI italiane, soprattutto in un contesto economico globale in continua evoluzione. L’accesso a nuove competenze e l’aggiornamento continuo non solo aumentano la capacità delle PMI di affrontare sfide e innovare, ma sono anche strumenti essenziali per garantire la loro crescita sostenibile. Ma a che punto siamo in Italia?

 

Un’indagine condotta da I-AER, Institute of Applied Economic Research, su un campione rappresentativo di 841 PMI italiane ha rivelato dati preziosi relativi alle pratiche attuali adottate dalle PMI. I risultati evidenziano come, sebbene vi sia un riconoscimento del valore della formazione e dello sviluppo delle risorse umane, troppe PMI faticano ancora ad avviare programmi strutturati di apprendimento a causa di risorse limitate e opportunità mancate. Questo scenario mette in luce l’urgenza di affrontare diverse criticità e sviluppare percorsi formativi più efficaci.

In tema di gestione del personale, il 60% delle PMI utilizza incentivi e riconoscimenti per premiare le performance, con picchi del 65% nei settori tecnologico e dei servizi. Tuttavia, questa percentuale scende al 43% nei settori più tradizionali, come manifatturiero e commercio al dettaglio. Sul fronte della flessibilità lavorativa, il 49% delle PMI ha introdotto modalità come il lavoro da remoto. Tale pratica è diffusa in oltre il 60% delle aziende tecnologiche e dei servizi, ma rimane poco adottata nel settore manifatturiero, dove solo il 19% delle imprese offre questa possibilità, a causa delle specificità operative. Queste strategie non solo migliorano la motivazione e il coinvolgimento del personale, ma premiano concretamente l’impegno dei dipendenti contribuendo al successo aziendale.

In particolare, l'adozione dello smart working ha avuto un impatto significativo sulle dinamiche lavorative in Italia, con molte aziende che hanno mantenuto questa modalità anche dopo la pandemia. Non tutti i lavoratori che operano in smart working risiedono nella stessa sede dell'azienda; molti tornano a casa o lavorano da altre località. Le regioni del Nord Italia, in particolare, mostrano tassi elevati di adozione del lavoro agile. In Lombardia, il 17% dei lavoratori è coinvolto in smart working, Seguono l'Emilia-Romagna, il Piemonte e il Veneto con percentuali rispettivamente del 12%, 11% e 9%. Questi dati riflettono una crescente attenzione al bilanciamento tra vita privata e professionale, considerato sempre più una priorità dai dipendenti.

In un mercato del lavoro in cui il 46% delle candidature si concentra su ruoli che garantiscono flessibilità, le aziende sono chiamate a evolvere rapidamente. Integrare opportunità formative con modalità di lavoro moderne, come lo smart working e la flessibilità oraria, non è più solo un vantaggio competitivo, ma una necessità. Adattarsi a questa tendenza si rivela cruciale per attrarre e trattenere i migliori talenti, assicurando competitività e sostenibilità nel lungo termine.

I cambiamenti nelle modalità di lavoro sono strettamente legati alle crescenti aspettative dei lavoratori, che sono sempre più attenti alle opportunità di crescita professionale offerte dalle aziende. La ricerca rivela che oltre l'82% dei lavoratori preferirebbe scegliere un'azienda che offra opportunità di formazione e sviluppo continuo.

Tuttavia, – spiega Fabio Papa, docente di economia e fondatore di I-AER, – ancora meno della metà delle PMI investe in piani di sviluppo individuale, il che dimostra una mancanza di impegno verso la crescita professionale dei dipendenti. Infatti, in un mercato dinamico, sono necessarie competenze sempre aggiornate per affrontare le sfide attuali e future. Inoltre, l'assenza di strategie di sviluppo del personale in un numero significativo di PMI suggerisce che molte aziende potrebbero non sfruttare appieno il potenziale del loro capitale umano, una risorsa cruciale per l’innovazione e la competitività.”

L’importanza della formazione è particolarmente evidente tra le nuove generazioni, come i Millennials e la Generazione Z, per i quali la formazione è un fattore cruciale nella scelta del datore di lavoro. Infatti, il 59% dei Millennials italiani considera la formazione continua un elemento determinante per la propria carriera. Questi dati evidenziano come le imprese che investono in programmi di sviluppo ben strutturati siano più efficaci nell'attrarre giovani talenti, desiderosi di ambienti che promuovano la crescita personale e professionale.

In questo contesto, la fascia di età più coinvolta nella formazione è quella dei 25-34 anni, con un tasso di partecipazione superiore rispetto ad altre categorie. Questo gruppo non solo cerca aziende che offrano programmi di crescita, ma anche quelle che possano garantire un equilibrio tra la carriera e la vita personale. Inoltre, il 94% dei dipendenti afferma che rimarrebbe più a lungo in un'azienda se questa investisse nella loro carriera attraverso opportunità di formazione e sviluppo. Questo sottolinea come la formazione non sia solo un elemento attrattivo per i neoassunti, ma anche una strategia essenziale per le aziende che desiderano trattenere i propri talenti e mantenere un ambiente lavorativo stimolante e competitivo.

La ricerca ha rivelato che il 60% delle PMI italiane si avvale di esperti esterni per la formazione, un segnale positivo di impegno verso la crescita delle competenze. Gli esperti esterni possono includere professionisti specializzati in vari ambiti, come e-learning, recruiting, e intelligenza artificiale. Questo approccio consente un aggiornamento flessibile e accessibile, fondamentale in un contesto lavorativo in continua evoluzione. Inoltre, le PMI stanno investendo in corsi personalizzati per rispondere alle esigenze specifiche dei loro dipendenti, con il 51% delle aziende che organizza corsi interni su misura. Queste iniziative non solo migliorano le competenze tecniche, ma favoriscono anche lo sviluppo di soft skills, come la leadership e la comunicazione efficace, sempre più richieste nel mercato attuale.

L'adozione di strumenti digitali come l’e-learning – continua Papa – è però ancora molto limitata, coinvolgendo solo un’azienda su quattro. Questa situazione rappresenta una grande opportunità non sfruttata, specialmente in un'epoca di crescente digitalizzazione, dove l'e-learning è in grado di offrire flessibilità e accesso a risorse formative più ampie.” Le PMI, pertanto, dovrebbero considerare l’integrazione di soluzioni digitali come un passo necessario verso una formazione più accessibile e personalizzata.

In termini di contenuti, per le PMI italiane, le priorità formative sono chiare: sicurezza sul lavoro (56%), innovazione e tecnologia (49%) e soft skills (49%). La formazione sulla sicurezza si concentra su aggiornamenti normativi, prevenzione degli infortuni e gestione delle emergenze, cruciali nei settori manifatturiero e delle costruzioni. In ambito tecnologico, le PMI investono in competenze digitali, automazione e cybersecurity, con un crescente interesse per la transizione digitale. Infine, le soft skills, come comunicazione, problem-solving e gestione del tempo, sono fondamentali per ottimizzare produttività e relazioni interne.

Tuttavia, solo il 35% delle PMI investe in management e leadership, spesso con formazione limitata a competenze di base. Questo squilibrio rappresenta una lacuna strategica: preparare leader e manager è essenziale per affrontare sfide come la gestione del cambiamento e l’innovazione organizzativa. Rafforzare la leadership è quindi cruciale per una crescita sostenibile e una migliore capacità di adattamento al mercato.

La frequenza delle attività formative è un altro indicatore importante della cultura della formazione all'interno delle PMI italiane. Solo un terzo delle aziende organizza corsi mensili, mentre una percentuale ancora inferiore opta per una cadenza annuale (26%) e semestrale (23%). Questo implica che, sebbene ci sia un impegno nella formazione, la sua continuità spesso non è garantita, rischiando di compromettere la competitività nel lungo termine. Un approccio più regolare e sistematico, come una cadenza trimestrale, potrebbe contribuire significativamente a creare un ambiente di apprendimento continuo, fondamentale per stimolare l’innovazione e l'adattamento ai cambiamenti del mercato.

In merito alla formazione all'estero, circa il 15% delle PMI italiane invia i propri dipendenti a programmi di formazione internazionale. Le aree di focus principali per questi corsi includono gestione delle risorse umane, leadership, e trasformazione digitale. Questi ambiti sono scelti per garantire che i dipendenti acquisiscano competenze avanzate e best practices da contesti globali, contribuendo così a migliorare le performance aziendali al rientro. Inoltre, le PMI stanno iniziando a riconoscere l'importanza della formazione interculturale e linguistica, essenziale per operare efficacemente in un mercato sempre più globalizzato. La crescente partecipazione a programmi di formazione all'estero indica una volontà di investire nel capitale umano e nella preparazione dei dipendenti per affrontare le sfide del mercato contemporaneo.

In questo contesto, dove non tutte le aziende svolgono formazione continua, valutare l'efficacia dei percorsi formativi emerge come un aspetto cruciale per ottimizzare gli investimenti.Il 49% delle PMI utilizza il feedback dei dipendenti, mentre il 42% monitora le performance attraverso indicatori specifici. Tuttavia, circa un’azienda su cinque non ha un sistema di valutazione formale – continua Papa – il che può generare inefficienze. Senza metodi di valutazione strutturati, le PMI rischiano di utilizzare in modo poco strategico le loro risorse, limitando così i ritorni sugli investimenti.”

Riguardo agli investimenti annuali nella formazione, il 26% delle PMI italiane spende tra 1 e 5.000 euro, il 39% tra 5.000 e 20.000 euro, e solo il 5% supera i 50.000 euro. I settori che tendono a investire di più in formazione includono il manifatturiero, dove le aziende riconoscono l'importanza di formare il personale per migliorare la produttività e l'innovazione, con un investimento medio che supera i 20.000 euro all'anno per i corsi specializzati. Anche il settore dei servizi, in particolare quelli legati alla tecnologia e alla digitalizzazione, mostra un forte impegno, con circa il 30% delle PMI che investe tra i 10.000 e 30.000 euro per la formazione continua dei dipendenti.

Al contrario, settori più tradizionali come il commercio al dettaglio tendono a investire meno, con una percentuale significativa che spende meno di 5.000 euro all'anno, evidenziando una disparità nell'approccio alla formazione e allo sviluppo delle competenze tra i diversi ambiti industriali. Questo divario suggerisce che le PMI che investono somme più elevate tendono a ottenere un vantaggio competitivo significativo, poiché una maggiore formazione e sviluppo delle competenze possono tradursi in una maggiore capacità di attrarre e trattenere talenti.

Infine, la ricerca ha analizzato le percezioni delle aziende italiane riguardo gli incentivi governativi sulla formazione: il 51% delle PMI considera efficaci gli sgravi fiscali per assunzioni, mentre il 44% preferirebbe contributi a fondo perduto per corsi di aggiornamento professionale.

Tuttavia, circa una PMI su tre non è a conoscenza delle politiche di sostegno disponibili – conclude Papa – suggerendo una comunicazione insufficiente tra le istituzioni. Migliorare l'accesso e la consapevolezza sugli incentivi disponibili potrebbe aumentare l’utilizzo di strumenti di supporto, facilitando ulteriormente gli investimenti nella formazione.”

Attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il governo ha stanziato 4,4 miliardi di euro fino al 2025 per stimolare la formazione aziendale e l'acquisizione di competenze, con programmi specifici come il Piano Nazionale Nuove Competenze (PNNC) e il Programma Nazionale per la Garanzia Occupabilità dei Lavoratori (GOL). Tuttavia, circa una PMI su tre non è a conoscenza delle politiche di sostegno disponibili, suggerendo una comunicazione insufficiente tra le istituzioni e le aziende.

Le difficoltà ad accedere a questi incentivi possono derivare da una mancanza di informazione, dalla complessità burocratica nella richiesta dei fondi e dalla percezione che tali opportunità siano riservate solo alle aziende più grandi o strutturate. Migliorare l'accesso e la consapevolezza sugli incentivi disponibili potrebbe aumentare l’utilizzo di strumenti di supporto, facilitando ulteriormente gli investimenti nella formazione e contribuendo a una crescita sostenibile delle PMI.

Considerare la formazione come una priorità strategica, piuttosto che una spesa accessoria, può portare a un ritorno significativo sull'investimento (ROI): ogni euro speso in formazione può generare fino a cinque euro di ritorno, grazie ai miglioramenti in efficienza, innovazione e fidelizzazione del personale. Le PMI dovrebbero quindi aumentare la frequenza e l'efficacia delle attività formative, garantendo che i contenuti siano sempre in linea con le esigenze aziendali. Inoltre, un maggiore impegno da parte delle istituzioni nel comunicare e facilitare l'accesso alle politiche di supporto, come sgravi fiscali e contributi a fondo perduto, potrebbe incentivare ulteriormente gli investimenti in formazione.

Investire nel capitale umano non è solo una scelta etica, ma una decisione strategica fondamentale per garantire crescita sostenibile e competitività alle PMI. In questo modo, le PMI italiane non solo affronteranno con maggiore preparazione le sfide di un mercato in continua evoluzione, ma potranno anche emergere come protagoniste di un’economia più dinamica e competitiva.

 

Domenico Ciancio
Corporate Communication & Public Affairs Manager Consultant
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