Nuovi dazi UE e USA contro la Cina, un duro colpo per le PMI italiane

 

Il 74% delle imprese italiane dipende in maniera critica dall’importazione di materie prime provenienti dalla Cina e da altri mercati asiatici. L’imposizione di nuovi dazi potrebbe ridurre il PIL generato dalle PMI italiane del 12% entro la fine del 2025, con un incremento stimato del +15% dei fallimenti aziendali.

  

Milano, 7 febbraio 2025 – Le voci riguardanti l’introduzione di nuovi dazi commerciali da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti su materie prime provenienti dalla Cina e da altri Paesi extraeuropei stanno diventando sempre più concrete. Se confermati, questi provvedimenti potrebbero scatenare una crisi senza precedenti per le Piccole e Medie Imprese italiane (PMI), già alle prese con l’instabilità geopolitica e l’inflazione che ha messo a dura prova la loro competitività.

Un’indagine condotta da I-AER, Institute of Applied Economic Research, su un campione di 591 PMI in settori strategici ha rivelato un dato allarmante: il 74% delle imprese italiane dipende in maniera critica dall’importazione di materie prime provenienti dalla Cina e da altri mercati asiatici. L’introduzione di dazi doganali in Europa e negli Stati Uniti potrebbe rendere insostenibile molte attività produttive italiane, esponendo ulteriormente il Paese a rischi economici.

 

L’effetto domino sui settori strategici

Il settore manifatturiero italiano continua a rimanere uno dei più vulnerabili, con i costi delle materie prime che sono aumentati del 7% lo scorso anno. Questo incremento ha avuto ripercussioni dirette sulla produzione industriale, che nei primi nove mesi del 2024 ha registrato una contrazione del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2023. Le previsioni future non sono rassicuranti: secondo i dati, il 67% delle imprese manifatturiere segnala che un ulteriore rialzo dei costi delle materie prime potrebbe portare a una revisione al ribasso della produzione già entro il primo trimestre del 2025, con effetti economici che si rifletterebbero sulla competitività complessiva del settore.

Anche il settore della moda e del tessile, storicamente uno dei punti di forza dell'economia italiana, sta affrontando sfide considerevoli. La Cina, principale fornitore di tessuti a basso costo, ha visto aumentare i suoi costi di produzione, con il risultato che nei primi nove mesi del 2024 la produzione italiana in questo settore ha subito una flessione significativa: -15% per le pelli, -9% per l'abbigliamento e -6% per il tessile. Anche le esportazioni sono scese, registrando una diminuzione del 4,5% nei primi otto mesi, mentre il fatturato ha registrato una contrazione del 9% a prezzi correnti. Inoltre, se dovessero essere introdotti dazi superiori al 25% sulle importazioni cinesi, il 58% delle aziende del comparto prevede di dover aumentare i propri prezzi di vendita per coprire i costi aggiuntivi, con il rischio di compromettere la competitività sui mercati internazionali.

Il settore agroalimentare, che rappresenta un pilastro fondamentale per l'economia italiana, ha mostrato segnali di resistenza nonostante le difficoltà. Infatti, nel 2024, l'export dei prodotti alimentari ha registrato una crescita del 9% nei primi dieci mesi dell’anno. In particolare, il mercato statunitense ha visto un'espansione notevole, con un +18% nelle esportazioni, portando il valore totale dell'export agroalimentare verso gli Stati Uniti a raggiungere i 7,8 miliardi di euro. Tuttavia, l'aumento dei costi legati agli imballaggi e ai fertilizzanti, unito ai possibili dazi sulle importazioni, rischia di compromettere i margini operativi di circa il 63% delle imprese del settore, minacciando la redditività complessiva.

Anche il settore dell'elettronica, fortemente legato alle catene di approvvigionamento globali, ha già affrontato gravi difficoltà nel 2024. Nei primi sei mesi, questo mercato ha registrato un calo del 4,7% rispetto al 2023, con flessioni marcate nella fotografia (-12%) e nell’elettronica di consumo (-10%), mentre i piccoli elettrodomestici sono cresciuti del 6%. L’introduzione di dazi superiori al 25% su componenti elettronici importati dalla Cina, come già accade negli USA, potrebbe aggravare la situazione, aumentando i costi di produzione e comprimendo i margini operativi delle imprese italiane, con conseguenze negative sulla competitività e sulla tenuta del comparto.

Infine, il comparto delle costruzioni sta vivendo un periodo di grande difficoltà, soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime fondamentali come acciaio e cemento. Nel 2024, i rincari di metalli strategici come rame (+14,4%), alluminio (+12,8%) e nichel (+18,7%) hanno influito pesantemente sui costi di costruzione, contribuendo a un calo della produzione del settore edile pari al 4,6% nei primi nove mesi dell’anno. Il 72% delle aziende del comparto ha segnalato che ulteriori aumenti provocherebbero ritardi nei progetti e difficoltà nel completamento delle opere infrastrutturali, con ripercussioni economiche significative a livello nazionale.

 

Automotive: i dazi UE sulle auto elettriche cinesi

L’industria automobilistica, che negli ultimi anni ha sviluppato una crescente interdipendenza con i mercati asiatici, è tra i settori già duramente colpiti dalle nuove politiche commerciali. Nel 2024, la produzione di autoveicoli è diminuita del 27,5% rispetto al 2019, riportando il settore a livelli produttivi molto più bassi.  Questa contrazione è attribuibile a una combinazione di fattori, tra cui la diminuzione della domanda e l'aumento dei costi delle materie prime. 

Per di più, a ottobre 2024, l’Unione Europea ha introdotto dazi sulle auto elettriche cinesi, con tariffe che variano dal 17% per BYD al 35% per il gruppo SAIC. Sebbene la misura sia mirata a contrastare la concorrenza sleale delle aziende cinesi, accusate di beneficiare di sussidi statali, sta già causando un incremento dei costi per le imprese europee, in particolare per quelle italiane coinvolte nella componentistica auto.

Fabio Papa, docente di economia e fondatore di I-AER, osserva: “Imporre dazi senza un piano complementare di supporto all’industria locale rischia di danneggiare ulteriormente le imprese italiane. In un mercato globale sempre più competitivo, la strategia dovrebbe includere maggiori incentivi alla produzione, investimenti in ricerca e sviluppo per ridurre la dipendenza dalla Cina e migliorare la competitività.”

Le previsioni non sono rassicuranti: secondo i dati raccolti, l’imposizione di nuovi dazi potrebbe ridurre il PIL generato dalle PMI italiane del 12% entro la fine del 2025, con un incremento stimato del +15% dei fallimenti aziendali

Inoltre, il 48% delle imprese esportatrici teme di perdere competitività sui mercati internazionali a causa dell’aumento dei costi di produzione. Papa continua: “L’Italia rischia un effetto domino devastante, con interi comparti produttivi che potrebbero fermarsi a causa di una combinazione di pressioni fiscali, instabilità geopolitica e politiche commerciali miope. Urge un intervento coordinato per evitare il collasso.”

 

Le regioni più colpite

I nuovi dazi imposti dall'UE e dagli Stati Uniti sulle importazioni cinesi rischiano di colpire duramente l'economia italiana, in particolare le regioni con forte vocazione manifatturiera. La Lombardia, epicentro economico del Paese, potrebbe subire pesanti ripercussioni a causa della dipendenza dai fornitori asiatici nei settori meccanico ed elettronico, mentre Veneto e Toscana, con i loro distretti tessile e della pelletteria, vedrebbero aumentare i costi di produzione, minacciando la competitività internazionale. Anche il Piemonte, legato all’industria automobilistica, è vulnerabile all’impennata dei prezzi dei componenti importati. 

Questi effetti si inseriscono in un contesto più ampio di fragilità europea: la Cina fornisce infatti all’UE il 56% delle materie prime critiche, fondamentali per obiettivi industriali ed energetici. Un’interruzione delle forniture di materie prime critiche comprometterebbe il 47% della capacità eolica e il 66% dei veicoli elettrici previsti per il 2030, mettendo a rischio la sicurezza strategica e la competitività industriale. Per l’Italia, dove il 32% del PIL dipende da queste materie prime, l’impatto potrebbe essere devastante, con significative ripercussioni economiche su tutto il Nord e Centro Italia.

 

I dazi USA-Cina e le implicazioni globali

Anche negli Stati Uniti, con le recenti dichiarazioni di Donald Trump, si prospetta un ritorno a politiche commerciali fortemente protezionistiche. L’ex presidente ha annunciato nuovi dazi contro Cina, Messico e Canada, mirati a combattere il traffico di droga e l’immigrazione clandestina. Queste misure potrebbero aggravare le tensioni commerciali globali, con ripercussioni su economie interconnesse come quella italiana, già esposta alle instabilità delle catene di approvvigionamento internazionali.

Trump ha minacciato una tariffa del 10% su tutte le merci cinesi, accusando Pechino di non fare abbastanza per bloccare il traffico di fentanyl verso gli Stati Uniti. Nel frattempo, il surplus commerciale della Cina ha toccato i 992 miliardi di dollari nel 2024 (+21% rispetto all’anno precedente), un record che potrebbe essere compromesso dalle nuove tariffe.

"Una guerra tariffaria tra USA e Cina – spiega Fabio Papa – provocherebbe distorsioni significative nei flussi globali di beni, aumentando i costi per le imprese e danneggiando l’industria manifatturiera italiana, che dipende sia dalle esportazioni verso gli USA sia dalle importazioni di materie prime cinesi."

 

Trump minaccia anche l'Europa: rischi per le PMI italiane

I recenti sviluppi al World Economic Forum di Davos e le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, hanno ulteriormente complicato lo scenario economico per le Piccole e Medie Imprese (PMI) italiane. 

Trump ha minacciato l'imposizione di nuovi dazi sulle importazioni europee, sostenendo che "gli europei ci trattano molto male e se non correggeranno gli squilibri commerciali dovranno pagare i dazi". Gli Stati Uniti registrano un deficit commerciale di 350 miliardi di dollari con l'Unione Europea, mentre la bilancia commerciale vede il Vecchio Continente esportare beni per 502 miliardi di dollari e importarne dagli USA per soli 344 miliardi. Tra i Paesi con il maggiore surplus commerciale con gli Stati Uniti spiccano la Germania (86 miliardi), l’Italia (42 miliardi) e l’Irlanda (31 miliardi).

Queste misure potrebbero quindi aggravare le difficoltà già affrontate dalle PMI italiane, che rappresentano il cuore pulsante dell’economia nazionale e sono esposte ai mercati esteri. Inoltre, l’Europa è tra i principali acquirenti di gas e petrolio americani, con il 47% del petrolio e il 49% del gas esportato dagli USA diretto nel Vecchio Continente. Questo crea una forte interdipendenza, ma al contempo espone le PMI a ulteriori rischi economici in un contesto globale già fragile.

Fabio Papa ribadisce l’importanza di una strategia a lungo termine: “Imporre dazi in un contesto di forte interdipendenza economica è una mossa miope. Questi sviluppi evidenziano l'urgenza per le PMI italiane di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento e di esplorare nuovi mercati per mitigare l'impatto delle tensioni commerciali globali. Inoltre, l’Italia dovrebbe promuovere accordi bilaterali e incentivi fiscali che proteggano il nostro tessuto imprenditoriale e stimolino la competitività.”

Per mitigare gli effetti negativi dei dazi, I-AER suggerisce misure concrete come sgravi fiscali per le PMI più esposte, fondi per la diversificazione dei fornitori e incentivi all’innovazione, con l’obiettivo di favorire la sostituzione delle materie prime importate con alternative locali.

 

“Non possiamo permettere – conclude Papa – che questa crisi diventi il punto di non ritorno per le PMI italiane. L’economia del nostro Paese dipende da loro. Dobbiamo agire ora, con decisione e visione strategica, prima che sia troppo tardi.”

 

Domenico Ciancio
Corporate Communication & Public Affairs Manager Consultant
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