La nuova guerra commerciale USA e i rischi per le imprese italiane

 

Milano, aprile 2025 – Il ritorno del protezionismo statunitense, rilanciato dalle recenti dichiarazioni di Donald Trump, riaccende le tensioni commerciali globali e mette a rischio la tenuta economica delle Piccole e Medie Imprese italiane. A lanciare l’allarme è l’ultima indagine di I-AER, Institute of Applied Economic Research, condotta su un campione rappresentativo di 591 PMI attive nei principali settori industriali del Paese.

A innescare nuove preoccupazioni è stato il recente annuncio, da parte del presidente americano di un nuovo pacchetto di misure tariffarie, entrato in vigore con effetto immediato. Oltre ai dazi del 25% su auto e componenti esteri, attivi dal 3 aprile, è stata introdotta una tariffa generalizzata del 20% su tutte le merci importate dall’Unione Europea. Quest’ultima è stata calcolata sulla base di una formula particolarmente controversa: si divide il disavanzo commerciale bilaterale degli Stati Uniti per il valore complessivo delle importazioni dal Paese partner, e si dimezza il risultato ottenuto. Non si tratta quindi di dazi “reciproci”, come dichiarato dal presidente, ma di misure unilaterali costruite su un presupposto semplificato che attribuisce automaticamente il disavanzo a pratiche scorrette del Paese esportatore.

L’applicazione di questa formula ha generato tariffe estremamente elevate per numerosi Paesi, tra cui il Vietnam (46%) e la Cina, inizialmente colpita da un dazio del 34%. In seguito alla risposta di Pechino, l’amministrazione Trump ha ulteriormente inasprito le misure, portando il livello complessivo dei dazi sul Made in China al 104%. L’escalation ha avuto ripercussioni immediate sui mercati finanziari globali: le Borse europee hanno registrato perdite superiori al 4%, con Milano, Francoforte e Parigi in forte calo, mentre Wall Street ha aperto in rosso con il Dow Jones a -0,7%.

Per l’Italia, però, l’allarme è ancora più marcato: tra le misure più temute figura un dazio del 200% su vino e champagne, al momento solo annunciato ma non ancora operativo. L’effetto sul mercato, però, è stato immediato: numerosi importatori statunitensi hanno sospeso gli ordini dall’Europa, in attesa di sviluppi. In risposta, l’Unione Europea ha annunciato contromisure per un valore complessivo di 26 miliardi di euro, con dazi fino al 50% su prodotti simbolo americani, come whisky bourbon, motociclette Harley-Davidson e jeans.

Le conseguenze di questa escalation non tarderanno a farsi sentire tra le imprese italiane. Secondo l’indagine I-AER, l’80% degli imprenditori prevede un impatto significativo sull’economia nazionale: il 55% stima conseguenze “notevoli” e il 25% “molto forti”. Le principali preoccupazioni riguardano la perdita di competitività e la contrazione dell’export in settori chiave del Made in Italy. In questo clima di incertezza, il 56% degli intervistati si dichiara favorevole all’introduzione di dazi europei sui beni americani, mentre il 60% afferma di non condividere la linea politica di Trump, a conferma di una crescente diffidenza verso l’unilateralismo commerciale degli Stati Uniti.

Le previsioni generali per l’export italiano non sono incoraggianti: il 48% delle imprese teme una perdita di competitività a causa dell’aumento dei costi. I nuovi dazi potrebbero contribuire a un rallentamento dell’economia, con una revisione al ribasso della crescita del PIL italiano nel 2025, dal +0,8% al +0,6% e un aumento del 15% nei fallimenti aziendali.

A livello settoriale, l’agroalimentare si conferma tra i comparti più esposti, con un export verso gli Stati Uniti pari a 7,8 miliardi di euro nel 2024. Nonostante una crescita complessiva del 9% dell’export lo scorso anno, il 63% delle imprese del settore prevede una significativa erosione dei margini operativi, penalizzata dall’aumento dei dazi e dal rincaro dei fertilizzanti. Prodotti simbolo del Made in Italy — come olio d’oliva, formaggi e aceto balsamico — rischiano un forte calo della domanda oltreoceano. Particolarmente vulnerabile il comparto vitivinicolo, che nel 2024 ha registrato esportazioni verso gli Stati Uniti per circa 2 miliardi di euro. Secondo le analisi di I-AER, le vendite potrebbero subire un crollo, con perdite stimate tra i 250 e i 600 milioni di euro, equivalenti a una contrazione del fatturato compresa tra il 12% e il 30%.

Fabio Papa, professore di economia e fondatore di I-AER, commenta: “Il settore agroalimentare si trova in una situazione estremamente delicata. L’incertezza sta già penalizzando le imprese: spedizioni bloccate, contratti sospesi, importatori in attesa. Se le tariffe sui vini entreranno in vigore, competitor extra-europei come Argentina, Cile e Australia potrebbero occupare spazi cruciali. È una prospettiva allarmante.”

Anche il comparto manifatturiero risente delle nuove tensioni commerciali. Le PMI italiane, già messe a dura prova nel 2024 da un aumento medio del 7% nei costi delle materie prime e da una contrazione del 3% della produzione, si trovano ora ad affrontare un’ulteriore perdita di competitività: il 67% delle imprese teme di dover ricorrere a nuovi tagli su investimenti e organico. Le ripercussioni più rilevanti potrebbero investire la filiera delle costruzioni e dei macchinari industriali, che esporta ogni anno circa 11 miliardi di euro verso gli Stati Uniti e rischia perdite fino a 1,5 miliardi. Sotto pressione anche il settore elettronico, penalizzato dai dazi statunitensi sui componenti cinesi, che stanno già generando flessioni fino al 12% in segmenti chiave come la fotografia e il consumer tech. Complessivamente, le imprese manifatturiere italiane rischiano una contrazione del fatturato compresa tra il 9% e il 12%, a seconda del grado di esposizione al mercato americano.

Il settore automotive, con export di 5,8 miliardi verso gli USA nel 2024, figura tra i più colpiti dall’escalation protezionistica. A pesare è soprattutto il dazio statunitense del 25% su auto e componenti esteri, entrato in vigore il 3 aprile. A questo si somma una crisi strutturale del comparto: nel 2024, la produzione italiana di autoveicoli è scesa del 27,5% rispetto ai livelli
pre-pandemia del 2019. La pressione arriva anche dal fronte europeo: l’UE ha infatti introdotto dazi sulle auto elettriche cinesi, con tariffe comprese tra il 17% e il 35%, che stanno aumentando i costi per le aziende italiane attive nella componentistica. Secondo le stime, i dazi americani sulle auto europee potrebbero provocare una contrazione del fatturato del settore fino al 10%, con ripercussioni su produzione, occupazione e investimenti. In caso di ulteriori aumenti tariffari, il prezzo medio di un’auto europea potrebbe salire fino a 3.000 euro, con un impatto diretto sulla domanda e sulla competitività del prodotto Made in Italy.

Se perdiamo il mercato statunitense, la ripresa sarà molto difficile, – avverte ancora Papa –parliamo di migliaia di aziende con relazioni consolidate. Non è realistico pensare che possano trovare nuovi sbocchi dall’oggi al domani. Servono misure mirate per evitare un effetto domino sull’intero sistema produttivo.”

Anche il comparto arredamento e gioielleria, che esporta annualmente circa 3,2 miliardi di euro negli USA, rischia perdite tra il 6% e il 10% del fatturato, principalmente per l’aumento dei costi delle materie prime e la pressione competitiva internazionale.

Il settore moda e tessile, che nel 2024 ha esportato beni per un valore di 12 miliardi di euro, rischia una flessione del fatturato tra 600 milioni e 1,2 miliardi di euro. Già l’anno scorso si sono registrate flessioni significative nella produzione: -15% per le pelli, -9% per l’abbigliamento e -6% per il tessile. Nel 2024, le esportazioni del comparto sono diminuite del 4,5%, mentre il fatturato ha segnato una contrazione del 9%. In un contesto aggravato dall’introduzione di nuovi dazi, il 58% delle aziende prevede un aumento dei prezzi finali.

Secondo le stime di I-AER, se le tensioni commerciali dovessero intensificarsi, l’export italiano verso gli Stati Uniti potrebbe subire una contrazione fino a 11 miliardi di euro, pari a una flessione del 16% rispetto ai 67 miliardi registrati nel 2024. A questo scenario si aggiunge una possibile perdita occupazionale di circa 33.000 posti di lavoro, di cui 13.000 concentrati nelle micro e piccole imprese. Infatti, gli Stati Uniti rappresentano oggi il secondo mercato di sbocco per il Made in Italy, trainato in particolare dalle PMI attive nei settori agroalimentare, moda e arredo. L’impatto sui ricavi non sarà uniforme: il 50% delle imprese, che esporta meno, rischia una perdita fino al 4% del fatturato, il 25% fino al 9%, il 10% delle imprese, tra le più internazionalizzate, tra il 13% e il 17%. Il restante 15% non registrerebbe impatti significativi.

Anche sul piano territoriale, le conseguenze potrebbero essere pesanti. Secondo le rielaborazioni I-AER su dati Istat, nel 2024 la Lombardia ha esportato verso gli USA 14 miliardi di euro, l’Emilia-Romagna 10 miliardi, e la Toscana 9 miliardi. Queste tre regioni rappresentano da sole quasi il 50% dell’export italiano verso il mercato americano.

Le imprese lombarde, attive in settori come meccanica, moda e farmaceutica, rischiano una contrazione media del 9% del fatturato, pari a circa 1,2 miliardi di euro. In Emilia-Romagna, dove la specializzazione in macchinari industriali e agroalimentare è particolarmente forte, la perdita stimata si attesta all’11%, ovvero 1,1 miliardi di euro. Ancora più critica la situazione in Toscana, dove i beni di lusso come pelletteria e vino hanno un peso rilevante: qui la riduzione potrebbe raggiungere il 14%, corrispondente a circa 1,3 miliardi di euro. Ma anche il Veneto e il Piemonte risultano fortemente esposti: il primo per il peso dei distretti della moda e della pelletteria, il secondo come cuore dell’industria automobilistica.

Queste stime evidenziano come le nuove barriere tariffarie possano minare la competitività dell’export italiano, con effetti a catena su investimenti, occupazione e consumi interni. I cittadini rischiano rincari sui beni di consumo, una riduzione dell’offerta di lavoro e una contrazione della domanda.

L’Italia rischia un effetto domino devastante,” conclude Papa. “Servono interventi coordinati per sostenere le imprese colpite, evitare il blocco di interi comparti e salvaguardare la tenuta del sistema produttivo.” In un contesto segnato da protezione crescente, la capacità di adattarsi sarà fondamentale. La diversificazione dei mercati e un rafforzamento delle filiere europee rappresentano risposte chiave per tutelare la competitività del Made in Italy nel medio-lungo periodo.

 

Domenico Ciancio
Corporate Communication & Public Affairs Manager Consultant
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