In Italia 7 imprenditori su 10 diffidano dell’'UE:

 

Il 70% dei titolari di PMI del nostro paese ha espresso la percezione che l'Unione Europea sia distante dalle loro realtà quotidiane.

 

Ma cosa si aspettano dal prossimo Parlamento Europeo?

 

Le piccole e medie imprese (PMI) sono il cuore pulsante dell'economia italiana, ma il loro rapporto con l'Unione Europea è un labirinto di sfide e opportunità. Nonostante l'importanza del mercato unico comunitario per l'export italiano, si osserva una crescente sfiducia tra le PMI nei confronti dell'UE.

 

Milano, 21 maggio 2024 – Un recente studio condotto da I-AER, Institute of Applied Economic Research, in collaborazione con Aida Partners, ha analizzato le percezioni delle PMI italiane riguardo all'Unione Europea in vista della prossima tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo.  Coinvolgendo 641 imprese, lo studio ha rivelato un marcato senso di sfiducia nei confronti dell'UE. In particolare, il 70% dei titolari di PMI italiane ha espresso la percezione che l'Unione Europea sia distante dalle loro realtà quotidiane, indicando una mancanza di connessione tra le politiche europee e le esigenze reali delle imprese locali.

Ad oggi, le (PMI) costituiscono le fondamenta del tessuto economico italiano ed europeo, rappresentando oltre il 99% delle aziende totali operanti nel continente. Nell’Unione europea, sono attive circa 25 milioni di PMI le quali forniscono 100 milioni di posti di lavoro (due terzi del settore privato) e generano circa il 56% del PIL comunitario.

 

"Le nostre indagini sulle PMI italiane evidenziano una percezione di negligenza e scarsa considerazione da parte delle Istituzioni europee" - afferma Fabio Papa, docente di economia e fondatore di I-AER. “Questa sfiducia – continua Papa - è alimentata dalla complessità burocratica e dalla percezione di una rappresentanza insufficiente nel contesto comunitario”.

 

Guardando alle previsioni del mercato delle PMI in Europa, si prospetta una crescita moderata ma costante nel prossimo decennio. Secondo le stime, il valore economico generato dalle PMI europee dovrebbe arrivare ai 10.043 miliardi di euro nel 2025, con una leggera crescita prevista nel 2028, raggiungendo circa 10.995 miliardi di euro. Queste cifre indicano una sostenuta solidità delle piccole e medie imprese, che rimane un pilastro fondamentale della prosperità economica dell'Europa.

 

Dalla ricerca emerge che il processo decisionale dell'UE può, infatti, spesso apparire come poco accessibile alle PMI italiane, che lamentano una mancanza di trasparenza e di canali efficaci per esprimere i propri problemi e necessità. Solo il 32% degli imprenditori italiani ritiene che la propria voce conti nell'UE, evidenziando la percezione di una scarsa rappresentanza dei parlamentari europei che influenzano le decisioni prese a livello comunitario. Questo porta a una sensazione di estraneità al dibattito europeo, alimentando il senso di disconnessione tra le PMI e le istituzioni comunitarie.

 

Nonostante questo scetticismo, il 66% degli imprenditori si dichiara favorevole all'Unione Europea, evidenziando una sottostante volontà di collaborazione e partecipazione. Inoltre, il 57% degli imprenditori auspica un ruolo più ampio per il Parlamento europeo, suggerendo un desiderio di maggiore coinvolgimento e rappresentanza nel contesto comunitario.

 

I settori che dimostrano minor fiducia nelle istituzioni comunitarie sono quelli maggiormente orientati ai mercati nazionali e caratterizzati da una maggiore frammentazione a livello europeo. Questi includono il commercio al dettaglio e i servizi locali, che insieme contribuiscono al 72,1% del PIL italiano. Queste industrie spesso non traggono significativi benefici dall'integrazione europea poiché sono meno coinvolte nell'export di beni e servizi.

 

D'altro canto, i settori merceologici che manifestano maggiore fiducia nell'UE sono quelli legati all'industria manifatturiera e tecnologica, che rappresentano il 20,4% del PIL in Italia. Questi includono l'automotive, l'elettronica, l'ingegneria meccanica, l'industria farmaceutica ma anche il settore delle costruzioni, che rappresenta il 5,3% del PIL. Tali settori si contraddistinguono per una forte integrazione a livello europeo, con catene di approvvigionamento e reti di produzione distribuite su più paesi dell'UE. Le imprese in queste aree beneficiano notevolmente del mercato unico europeo, il quale agevola il commercio transfrontaliero, offre accesso a una vasta base di clienti e permette la libera circolazione di beni e servizi senza barriere doganali.

 

Altri settori, come quello dell’agricoltura, contribuiscono in misura minore all'economia del paese, rappresentando circa il 2,2% del PIL italiano. Tuttavia, questo settore è profondamente influenzato dalle politiche e dalla regolamentazione dell'Unione Europea, come evidenziato dal fatto che il 31% del bilancio comunitario viene destinato alla Politica Agricola Comune (PAC). Nonostante ciò, gli attori di questo settore non sembrano soddisfatti, come dimostrato dalle recenti proteste degli agricoltori. La principale causa di malcontento riguarda la crisi del settore, con la rivendicazione principale incentrata sul costo del gasolio. Inoltre, le politiche ambientali europee come il piano Farm to Fork hanno suscitato opinioni contrastanti, soprattutto riguardo agli obblighi di lasciare terreni a riposo e dedicare una quota significativa delle terre alla coltivazione biologica. In risposta a tali proteste, l'Unione Europea ha promesso di ridurre i controlli e di eliminare l'obbligo del 4% dei terreni incolti previsto nella nuova PAC.

 

Le politiche dell'UE si concentrano spesso su questioni di ampia portata e sulla standardizzazione a livello continentale, trascurando le peculiarità e le diversità delle realtà economiche nazionali. Questo approccio può, in taluni casi, penalizzare le PMI italiane, che possono trovare difficile adattarsi ai requisiti e agli standard imposti dall'UE, soprattutto quando non tengono conto delle specificità del contesto italiano.

 

 

“Un altro punto di distacco riguarda sicuramente l'accesso ai finanziamenti e agli incentivi europei – continua il Prof.Papa - sebbene l'UE abbia varato diversi programmi per sostenere lo sviluppo delle PMI, spesso le procedure per accedervi sono complesse, scoraggiando molte imprese dall'approfittarne pienamente.” Questo crea un divario tra le aspettative delle PMI italiane e la realtà sui finanziamenti europei, minando la fiducia nel sistema e contribuendo al senso di marginalizzazione.

 

Le barriere normative e burocratiche rappresentano, infatti, un nodo altrettanto cruciale nel rapporto tra le PMI italiane e l’UE. La complessità della burocrazia europea può risultare particolarmente onerosa per le imprese italiane, specialmente per quelle di piccole dimensioni che possono avere difficoltà a stare al passo con tutte le disposizioni in vigore.  Inoltre, un quadro normativo frammentato può rendere difficile per le PMI italiane commercializzare i propri prodotti su scala europea, comportando costi aggiuntivi legati all'adeguamento normativo e alla conformità, limitando così la loro competitività nel mercato unico.

 

In questo contesto, l'Unione Europea dovrebbe svolgere un ruolo chiave nel facilitare il dialogo tra gli Stati membri e le imprese, promuovendo la condivisione delle migliori pratiche e incoraggiando l'adozione di standard comuni. Ciò consentirebbe alle PMI italiane di concentrarsi maggiormente sull'innovazione e sullo sviluppo dei loro prodotti e servizi, anziché sui complessi e spesso frammentati obblighi normativi.

 

L'analisi condotta da I-AER evidenzia quindi un significativo disallineamento tra le aspettative delle PMI italiane e le politiche attuate dall'Unione Europea. “Questa sfiducia - precisa Fabio Papa - seppur profonda, non dovrebbe offuscare le potenzialità di un mercato europeo integrato e accessibile, che può offrire notevoli opportunità di crescita e sviluppo. Questo perché l'Europa non è solo un partner commerciale, ma anche un palcoscenico su cui le nostre imprese possono e devono brillare”.

 

In questa direzione, la Commissione europea ha recentemente approvato un piano per l’Italia da 750 milioni di euro per sostenere le PMI, in risposta alla crisi scaturita dalla guerra tra Russia e Ucraina. Questi fondi mirano a fornire assistenza alle aziende colpite dalla crisi energetica che si è protratta dal 2021 a oggi, causando un aumento esorbitante dei prezzi delle forniture di gas e delle bollette.

 

“I dati raccolti indicano un chiaro desiderio dell’Europa di essere più vicina e reattiva alle esigenze delle PMI - spiega Papa - tuttavia, questo deve avvenire tramite un approccio olistico che comprenda una semplificazione delle procedure burocratiche, un accesso più diretto ai fondi e agli incentivi europei e una maggiore rappresentanza nei forum decisionali. Inoltre, è essenziale incrementare ulteriormente gli investimenti in tecnologie digitali e in sostenibilità per favorire il processo di modernizzazione e rendere più competitive le PMI italiane.”

 

In effetti, la sostenibilità, la digitalizzazione e il supporto ai talenti rappresentano temi centrali per le PMI italiane nel contesto europeo dei prossimi anni.

Secondo le ricerche di I-AER, il 71% dei consumatori ritiene importante che le aziende adottino pratiche sostenibili. Inoltre, il 39% è disposto a pagare di più per prodotti provenienti da aziende impegnate in modo chiaro e concreto per l'ambiente. Questo numero sale al 60% tra i consumatori della Generazione Z.

 

Queste tendenze indicano che la sostenibilità non è solo una necessità, ma può diventare un vantaggio competitivo sul quale le PMI italiane possono capitalizzare. Tuttavia, solo il 39% delle imprese italiane ha adottato misure concrete per ridurre il proprio impatto ambientale, e solo il 23% degli imprenditori lo considera una priorità. Questo sottolinea la necessità di maggior impegno nel promuovere la sostenibilità nel nostro paese.

 

Parallelamente, la digitalizzazione è diventata fondamentale per le imprese, consentendo un miglioramento significativo dell'efficienza operativa e delle capacità innovative. L'Unione Europea sta promuovendo attivamente la transizione verso un'Industria 4.0 attraverso un programma strategico che mira a far raggiungere a oltre il 90% delle PMI almeno un livello base di intensità digitale entro il 2030. Tuttavia, in Italia, solo il 24% degli imprenditori vede la trasformazione digitale come una priorità, e solamente il 26% programma di investire in data analytics per supportare decisioni strategiche.

 

Nonostante il livello di digitalizzazione base delle imprese italiane si attesti intorno al 60%, superiore di circa il 5% alla media europea, si riscontra una difficoltà nell'adozione delle innovazioni. Ad esempio, l'adozione delle tecnologie per il data analytics in Italia è inferiore del 5% rispetto alla media dell'UE, mentre il divario per l'intelligenza artificiale e l'e-commerce è rispettivamente del 2% e del 5%. Questi dati evidenziano ampie opportunità di miglioramento delle tecnologie digitali nelle PMI italiane.

 

In conclusione, l'analisi delle percezioni e delle sfide affrontate dalle PMI italiane nell'ambito dell'Unione Europea evidenzia la necessità di una partnership più stretta per garantire il successo e la competitività delle imprese sul mercato comunitario. Sebbene esistano ostacoli significativi, come la complessità normativa, la percepita mancanza di rappresentanza nei processi decisionali e le difficoltà nell'accesso ai finanziamenti europei, è importante sottolineare che l'UE rappresenta un valido alleato per lo sviluppo e la crescita delle PMI italiane.

 

Domenico Ciancio
Corporate Communication & Public Affairs Manager Consultant
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